Le imprese italiane tornano in Zimbabwe

Le imprese italiane tornano a guardare allo Zimbabwe (ex Rhodesia), un Paese che nonostante la difficile situazione politica in attesa di un’auspicabile normalizzazione, sta lentamente recuperando vitalità economica grazie a diversi fattori: la grande disponibilità di risorse minerarie (soprattutto platino ma anche oro e diamanti), l’inserimento nella Comunità economica dell’Africa Australe (East African Community – EAC), il grande potenziale agricolo (soprattutto mais, soia e tabacco).

Quest’anno per la prima volta – l’Italia non partecipava alla Fiera dal 2001 – è stato organizzato un Padiglione Italia alla Fiera Internazionale (Zimbabwe International Trade Fair) che si tiene ogni anno a Bulawaio, seconda città del Paese. Nello stand italiano erano rappresentate 35 aziende italiane. Tra queste, alcune imprese leader in settori energia e la filiera dei trasporti: Ansaldo Energia, Salini Costruttori, Fiat, Termomeccanica, Fincantieri, Pirelli, Ravaglioli (attrezzature per officine auto), Landini (trattori), Red Graniti (materiali da costruzioni) e Frisun (commercializzazione di mobili).

La partecipazione italiana alla Fiera è stata vista come il segnale di una rinnovata attenzione del blocco europeo verso lo Zimbabwe, una nazione che ha subito in questi anni un forte isolamento a causa delle sue sofferte vicende politiche.

Dati affidabili sull’economia del Paese, che nel 2009 è uscito da una drammatica crisi di iperinflazione, sono difficilmente reperibili ma le stime statunitensi (CIA Factbook) parlano di una crescita del PIL nel 2011 pari al 6%.
Due sfide chiave attendono il Paese: sotto il profilo finanziario, la gestione di un forte indebitamento netto verso l’estero e sul piano economico, il rilancio dell’agricoltura.

Lo Zimbabwe in passato era considerato il granaio dell’Africa Australe e oggi sta cercando di recuperare posizioni dopo essere diventato importatore netto. La produzione di cereali, che nel 1996 aveva raggiunto 2, 4 milioni di quintali, è attualmente attorno a 1,4 milioni. Ancora più drammatico il calo nel settore dell’allevamento bovino: da 20 milioni di capi è sceso a 5 milioni, controbilanciato solo in piccola parte dalla crescita del settore avicolo. Il fenomeno viene imputato al complesso obiettivo di trasferire le redini del settore, da una piccola minoranza di farmer bianchi alla popolazione locale, che è stato gestito con metodi politicamente violenti, corrotti e poco efficaci con il risultato di un impoverimento di tutti i cittadini.

Fonte: Ministero Affari Esteri

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